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Diritti tv: la partita è aperta..

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Messaggio  paolo Ven Mag 27, 2011 10:19 am

Il sipario sul campionato di calcio di serie A 2010-2011si è chiuso la scorsa domenica. Tuttavia, un altro importante scontro si dovrà disputare di qui a breve : quello riguardante la spartizione dei diritti televisivi. Già, perché da questa stagione sportiva entreranno in vigore, per la ripartizione degli introiti derivanti dalla cessione dei diritti TV, i particolari criteri dettati dal Decreto Legislativo n. 9/2008 (la c.d. riforma “Melandri-Gentiloni”) che ha segnato una autentica rivoluzione in merito alla compravendita dei diritti audiovisivi nello sport e la loro spartizione tra i diversi soggetti partecipanti all’evento stesso.Quali sono, infatti, i punti fondamentali della legge e perché la sua concreta applicazione sta creando scompiglio e spaccatura tra i 5 “grandi” Club e le c.d. “piccole”? In sostanza, l’emanazione del D.Lgs. 9/2008 segna il definitivo e fondamentale passaggio dalla compravendita individuale dei diritti di trasmissione, ad un regime impostato sulla con contitolarità dei diritti stessi, in capo al soggetto organizzatore della competizione e a tutte le società partecipanti a questa, sul modello adottato dall’UEFA per la Champions League. Quindi, se prima erano le singole società di calcio a contrattare direttamente con le emittenti TV la cessione dei diritti TV relativi alle gare disputate, adesso la negoziazione è gestita da un unico soggetto (Lega Calcio) il quale poi ripartirà gli introiti seguendo criteri ispirati al criterio del c.d. principio di mutualità.
Obbiettivo della riforma è infatti quello di garantire l’equilibrio competitivo dei soggetti che partecipano alla competizione sportiva e realizzare un mercato dei diritti audiovisivi dotato di trasparenza ed efficienza, evitando le abnormi differenze di guadagni ed introiti tra le big del nostro campionato e le altre piccole società, che hanno segnato il periodo di contrattazione individuale (1999-2006) così criticato sia in ambito nazionale da parte dell’organismo garante per la comunicazione (AGCOM), sia in chiave antitrust sul versante comunitario. Le risorse rimanenti si suddividono secondo il seguente modello: - una quota pari al 40% sarà divisa in parti uguali tra i soggetti partecipanti al campionato di Serie A; - una porzione del 30% sarà distribuita sulla base dei risultati sportivi; - il rimanente 30% secondo il bacino di utenza delle diverse società. È sull’individuazione concreta dell’ultimo dato che si è prodotta la spaccatura, giacché il bacino di utenza (che nella misura del 5 per cento è fissato sulla base della popolazione del comune di riferimento della squadra) deve essere determinato per il 25 per cento “sulla base del numero di sostenitori di ciascuna squadra, come individuati da una o più società demoscopica incaricate dalla Lega secondo i criteri da questa fissati”. La spaccatura è stata radicale: da una parte Juventus, Inter, Milan, Napoli e Roma, a sostenere (potendo contare sulle tifoserie più ampie) una nozione di sostenitore “monogamico”, dall’altra il resto della serie A, che ha dettato (godendo ovviamente della maggioranza nella assemblea di Lega) criteri molto più inclusivi, allo scopo di comprendere semplici simpatizzanti e tifosi occasionali e dunque attenuare le differenze con le big.
Ciò che emerge chiaramente da questa situazione è una situazione di evidente disagio del sistema calcio in Italia.Pesa sicuramente che, a differenza di altre nazioni europee come Germania Spagna e Inghilterra, in Italia la voce di maggiore entrata per i club calcistici è rappresentata, anziché dal merchandising o dalle sponsorizzazioni, “solo”dai diritti televisivi e, pertanto, gran parte degli investimenti di mercato sono basati su questa particolare voce di fatturato. A mio personale modo di vedere il provvedimento legislativo in esame si basa su un giusto principio: quella della redistribuzione delle ricchezze. Il sistema calcistico non si può basare su una situazione di sostanziale disuguaglianza tra le squadre in competizione , semplicemente perché in questo modo non vi sarebbe una giusta e sana competizione. E’ vero che le grandi squadre investono di più nel perseguimento dei loro obiettivi calcistici ma è anche vero che senza una adeguata remunerazione si creerebbe quella situazione di totale immutabilità nei rapporti di forza che troppo spesso contraddistingue il nostro Paese. Per questo credo sia giusto instaurare un sistema equo che permetta anche al cd piccole squadre di emergere.



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paolo

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